MScarmagnani

Oggi, accanto al pozzo, incontriamo...

  Marco Scarmagnani

  

Insieme per sempre

 ma per scelta, non per forza!

 

 Potrebbe essere un po’ questa la sintesi del pensiero relativo al matrimonio, che guida l’attività del mediatore e consulente familiare Marco Scarmagnani. Un’idea che getta un ponte tra il “dovere” di stare insieme del passato e l’odierna libertà di “scegliere” di stare insieme per sempre. Lavorando ogni giorno ad un’impresa non facile, ma possibile e ricca di fascino

Lo scorso ottobre Marco Scarmagnani ha incontrato nel teatro parrocchiale la nostra comunità, intrattenendo gli intervenuti sul tema “mamma e papà … fusi confusi - Spunti semiseri per sopravvivere in famiglia”. Brillante, simpatico, provocatorio, Marco ha condotto il suo intervento sul filo di un invito preciso a rimeditare il proprio matrimonio, investirci continuamente e lavorarci un po’ ogni giorno. In quell’occasione abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo per provare a scoprire l’uomo che si nasconde dietro l’abile oratore e il mondo di valori al quale fa riferimento il mediatore familiare.

 

Scarmagnani, chi è, in due parole, un “mediatore familiare sistemico” come lei stesso si definisce nel suo sito?

Il mediatore è colui “che si mette in mezzo”; nello specifico nel mezzo di un conflitto. Le doti che gli servono, perciò, sono la pazienza, la perseveranza e la forza, necessarie ad “abitare quel conflitto” senza la fretta o la pretesa di disinnescarlo immediatamente, se non è possibile o non è il momento giusto. E’ “familiare” perché i contrasti cui ci riferiamo sono quelli che si  generano all’interno della famiglia. Ed è “sistemico” perché l’approccio usato è quello di  considerare sempre la persona all’interno del suo sistema relazionale. Riferendosi, perciò, ai “giochi” e ai circuiti, virtuosi o viziosi, che si vanno a creare all’interno del nucleo e che hanno senso di esistere solo in quella relazione, ma non esistono o non si manifestano in altri contesti.

 

L’immagine che mi viene in mente è quella di un artificiere-psicologo che prova a disinnescare i problemi prima che la coppia scoppi. E’ così?

In effetti è proprio il desiderio di disinnescare i problemi la molla che spinge verso questo mestiere. Già durante la formazione, però, e ancora di più sul campo, ci si rende conto che l’abilità da mettere in campo non è quella del “problem solving” o del mago che arriva con la ricetta miracolosa. E’ piuttosto quella di mettersi in posizione di ascolto, perché le persone hanno, soprattutto, bisogno di essere ascoltate e capite. Tanto che quando sono ascoltate e capite è facile che imbocchino istintivamente e, quasi da sole, la strada giusta per la risoluzione del conflitto. La mia esperienza di lavoro conferma che quando mi concentro sul dare ricette per affrontare il problema, il sistema conflittuale si perpetua. Se, invece, chi mi sta di fronte si sente capito, abbassa le difese e in quel momento diventa disponibile, ad accettare la mia mediazione e la negoziazione con l’altro o l’altra.

 

Com’è che una  persona sceglie di diventare “medico dell’anima” per famiglie o piccoli gruppi sociali?

 La molla è stato il mio, di matrimonio. Quando mi sono sposato ho deciso di mettermi a studiare questo genere di rapporti per capire come si può integrare il maschile e il femminile all’interno di una coppia stabile e intenzionata a vivere una vita di senso, di  significato. Da lì a farne  una professione il passo è stato breve.

 

Sposato, tre figli, uno studio di consulenza, giornalista, scrittore conferenziere apprezzato. Lei sembra reggere bene il  ritmo. E’ così anche per la sua famiglia? Oppure ogni tanto, prima di entrare in  casa deve rimettersi il cappello di consuelor?

Non più. Con il passare del tempo ho imparato a gestire meglio tempi e spazi. Un po’ perché con l’età si matura, un altro po’ perché i figli sono cresciuti rendendo tutto più facile. E infine perché mia  moglie ed io siamo riusciti a mettere nel rapporto un po’ di polvere di tolleranza: quella che ti dà tempo e modo di conoscerti e di mettere a punto meccanismi di convivenza equilibrati e soddisfacenti per entrambi. Nessuno “nasce imparato”, nemmeno i consulenti familiari.

 

Qual è l’errore che commettiamo più spesso nei rapporti familiari e come si combatte?

Non saprei fare una classifica della frequenza degli errori, ma posso dire che la dote più utile per combatterli, tutti, è la perseveranza. So che dirlo può sembrare un po’ fuori moda. La famiglia tuttavia - lo ha scritto anche Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Amoris laetitia” - è per i forti. A me, dunque, pare che sia questa virtù tipicamente maschile della perseveranza, quella di cui noi uomini dobbiamo riappropriarci per tornare a portarla, dopo gli anni della decostruzione dei ruoli tradizionali, all’interno della famiglia (come sottolinea anche lo psicologo Claudio Risé). Perché è la perseveranza che ti consente di dire “anche se ci  sono dei problemi, io vado avanti lo stesso”.

 

Come si fa a non ripetere, in veste di genitori, gli errori che abbiamo subìto e imparato a perpetuare da figli? Insomma, è possibile spezzare il ciclo spesso involontario della vittima che diventa a sua volta carnefice?

Ricordiamoci che chi vuole cambiare tutto finisce per non cambiare nulla. O troppo, se si preferisce. Voglio dire che un eccessivo timore di commettere gli stessi errori dei genitori può farci cadere nell’esagerazione opposta. La strada giusta, quindi, è quella di integrare l’eredità che abbiamo ricevuto senza disconoscerla, ma introducendo - con grande delicatezza - processi di micro cambiamento, spesso più efficaci delle inversioni di rotta radicali.

 

Torniamo alla coppia. Oggi il pensiero dominante è quello espresso dal film di Carlo Verdone “L’amore è eterno finché dura”. Lei, invece, ha scritto un libro intitolato “Per sempre”: è un sognatore affetto da inguaribile ottimismo o davvero pensa che esista la via per vivere un matrimonio lungo e magari anche felice?

 Sì, ne sono convinto e cerco di dimostrarlo anche nella mia vita: di recente ho festeggiato, a Venezia, 22 anni di matrimonio. Bisogna però sgombrare il campo dagli equivoci. Per esempio, togliendoci dalla testa che riguardo al matrimonio ci siano “quelli fortunati e quelli sfortunati”. E cominciare a pensare che il “per sempre” non è poesia, ma il risultato della perseveranza di chi decide di farcela, nonostante tutte le prove più o meno pesanti cui la vita ci sottopone. C’è stato un tempo (quello dei nostri genitori) in cui il “per sempre” era normato per legge, era obbligatorio. Poi tutto è cambiato e oggi una venatura di profondo cinismo rende l’espressione quasi ridicola. E parlo di cinismo perché non credere nella possibilità di un amore eterno ci “irrigidisce” il cuore.

Forse dovremmo fare un passo avanti e prendere consapevolezza dei nuovi ruoli di maschile e femminile all’interno della coppia, cercando di vivere una vita d’amore, ma anche felice. Perché indissolubilità non equivale a obbligo e sacrificio. Lo dice bene Papa Francesco ancora nell’Amoris laetitia, dove precisa che l’amore matrimoniale non si custodisce parlando dell’indissolubilità come di un obbligo, ma fortificandolo attraverso una crescita costante per mezzo di atti di affetto più frequenti, più intensi, più generosi, più teneri, più allegri. Insomma:  il  “per sempre” bisogna viverlo tutti i giorni, con ottimismo e perseveranza.

 

C’è una sola ricetta per il  successo del matrimonio o ce ne sono tante  quanti sono i protagonisti che vorrebbero “fare l’impresa”?

 Ricette non cene sono, ma ci sono ingredienti di base, indispensabili per dar vita ad una relazione proficua. Lo psicologo americano Robert Sternberg, che ha elaborato la “teoria triangolare dell’amore” parla di: passione, intimità e impegno. Per intimità si intende, più o meno, l’amicizia, che va coltivata all’interno della coppia: quando pensi alla persona con la quale puoi confidarti maggiormente non deve per forza venirti in mente l’amico o l’amica.  Puoi pensare anche a tuo marito o tua moglie. E poi bisogna curare l’aspetto passionale: spinte affettive, sentimenti, desideri. Insomma tutto quello che riguarda le emozioni. E infine c’è l’aspetto etico, quello che attiene all’assunzione di responsabilità. Ecco, credo siano questi i tre pilastri da far crescere continuamente.

 

Tra gli spunti più interessanti del suo “Per sempre” ci sono quelli che, senza bigottismo, rivalutano in chiave psicologica alcune tesi della Chiesa. E’ una sua posizione personale o la tesi si inserisce  in una corrente di pensiero più ampia, che vede una convergenza fra il tradizionale sapere religioso e gli studi laici interessati al benessere dell’uomo e della coppia?

Facciamo chiarezza: io sono cattolico, ma quando parlo come mediatore familiare cerco di fare in modo che le mie argomentazioni siano sempre compatibili anche con la laicità. In questo senso mi  aiuta il fatto che il matrimonio non è un’invenzione della Chiesa. Quest’ultima, come tutti gli organismi depositari di grandi tradizioni antropologiche, culturali e religiose, ha il suo matrimonio. Ma Pierpaolo Donati nel suo “Manuale di sociologia della famiglia” ricorda che “l’unione più o meno durevole, socialmente approvata, di un uomo con una donna e i loro figli è un fenomeno universale, presente in ogni e qualunque tipo di società”. Poi, ovviamente, la Chiesa benedice questa unione con un sacramento, ma è materia di cui io non mi occupo.

Le convergenze, invece, è ovvio che ci siano. Per tornare alla assolutamente laica teoria triangolare di Stenberg, quando lui parla di impegno, cioè di assunzione di responsabilità non siamo molto lontani da quella che i cattolici chiamano indissolubilità. La ragione è semplice: se parliamo di amore,  dobbiamo parlare di queste cose qui. Da qualunque angolazione le si guardi.

 

Chiudiamo con un consiglio. Coloro che vivono difficoltà di relazione in famiglia, spesso non sanno a chi rivolgersi. Lei che cosa consiglia?

 Le malattie della coppia, come quelle fisiche, possono essere più o meno lunghe, più o meno gravi. Nessuno, tuttavia, si fa ricoverare d’urgenza per un raffreddore e due linee di febbre, mentre a volte tendiamo a drammatizzare i disagi emotivi. Anche per i malesseri della coppia, invece, occorre un approccio graduale. Se si tratta di un problema che posso risolvere con le mie forze nel corso di un po’ di tempo, bene. Altrimenti provo ad informarmi leggendo un libro sull’argomento, mi faccio consigliare da una persona di fiducia, faccio un corso di formazione per coppie. Se poi non ottengo miglioramenti, allora chiedo un  aiuto professionale. E senza vergognarmene: la vita media si è allungata e così la durata dei  matrimoni: 18 anni, in media, a inizio Novecento; quasi 50, oggi. Un po’ di “manutenzione”, dunque, una o due volte durante una vita insieme così lunga mi sembra assolutamente ragionevole.